Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario
Avvertenze
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10/05/2023 - 28/08/2023 - Orario
10:00 - 18:00 - Luogo
Palazzo Madama - Prezzo
12 € - Vai al sito web
Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica di Torino, presenta, dal 10 maggio al 28 agosto 2023, la mostra Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario, a cura di Federico Marazzi con il contributo del MANN - Museo Archeologico Nazionale di Napoli, di Palazzo Madama e del Ministero Ellenico della Cultura e dello Sport e la collaborazione nell’organizzazione generale di Villaggio Globale International.
L’esposizione, proposta dal 21 dicembre 2022 al 10 aprile 2023 al MANN – Museo Archeologico Nazionale di Napoli, arriva a Torino, come seconda sede, per illustrare il “millennio bizantino” con il corpus espositivo principale integrato da una sezione dedicata al rapporto con l’area piemontese.
Oltre 350 opere - sculture, mosaici, affreschi, vasellami, sigilli e monete, straordinari manufatti in ceramica, smalti, oggetti d’argento, preziose gemme e oreficerie, pregevoli elementi architettonici - danno conto delle strutture, dei sistemi organizzativi, dei commerci e dei rituali di una complessa realtà politica, testimoniando nel contempo le eccellenze delle manifatture bizantine, gli incroci di cultura, gli stilemi e i simboli dell’Impero d’Oriente attraverso i secoli. È la creatività artistica del mondo antico che transita verso il Medioevo, con un linguaggio rinnovato dalla fede cristiana e con gli innesti del mondo orientale, in particolare della cultura iranica e araba.
Centinaia di prestiti provenienti da importanti musei italiani e da oltre venti musei greci giungono a Torino a narrare il millenario sforzo di un Impero teso al dialogo tra la cultura classica e quella orientale.
Per una Bisanzio, legata al territorio piemontese, che vedrà nel Principato d’Acaia, fin dalle origini proiettato verso l’Oriente greco e bizantino, l’origine della dinastia dei Savoia-Acaia – formatasi dal matrimonio nel 1301 tra Filippo di Savoia e Isabella di Villehardouin, principessa d’Acaia – ma anche una strettissima connessione con la dinastia dei Paleologi, ascesa nel 1261 con Michele Paleologo al trono imperiale, conservato sino al tramonto definitivo di Bisanzio nel 1453 tramite questo suo ramo occidentale, che si dimostra capace di ravvivare gli splendori della corte aleramica, rimanendo al potere fino all’ultimo discendente, Gian Giorgio, morto nel 1533.
E Palazzo Madama, già castello degli Acaia e dal 1934 sede delle collezioni del Museo Civico d’Arte Antica, proprio dalla cultura e influsso bizantini principia nella strutturazione delle sue raccolte di arti applicate, tra le più importanti d’Europa, comprendendo preziose oreficerie, avori, vetri dorati e dipinti, tessuti e maioliche.
D’altronde le relazioni e i contatti con Bisanzio e l’Impero furono nei secoli, per le terre piemontesi, ampi e di varia natura. I Bizantini occuparono alcune piazzeforti in Piemonte lungo il limes alpino, consci di rapporti di reciproca conoscenza iniziati tra XI e XII secolo, prima per via delle crociate, poi con le alleanze matrimoniali.
Guglielmo il Vecchio (Guglielmo V) di Monferrato partecipò alla seconda crociata e fu ospite della corte imperiale di Bisanzio; i suoi quattro figli vennero tutti coinvolti nelle vicende d’Outremer e tutti inseguirono il sogno di salire su un trono orientale. Nel 1177 Guglielmo Lungaspada sposa la sorella di Baldovino IV il Lebbroso, erede al trono di Gerusalemme; nel 1180 Ranieri di Monferrato sposa Maria, figlia dell’imperatore di Costantinopoli, il basileus Michele Comneno; nel 1190 Corrado di Monferrato giunge in Terrasanta, difende il Regno di Gerusalemme, sposa Isabella d’Angiò, figlia ed erede del re di Gerusalemme, ma muore assassinato; nel 1204 alla quarta crociata prende parte Bonifacio, il quarto figlio di Guglielmo. Riesce a ottenere il regno di Tessalonica, ma muore dopo poco in combattimento. Al di là degli esiti cruenti, l’Oriente greco è ormai stabilmente entrato nell’ambito degli interessi dei Monferrato.
Il Regno di Tessalonica, perso già nel 1224, resta formalmente ai Monferrato, che continuano a tenere il titolo di re di Tessalonica, ormai svuotato di significato. Il regno è poi dato in dote a Iolanda di Monferrato nel 1284 in occasione delle nozze con Andronico II Paleologo (che in cambio dona 6.000 lire genovesi). Da questa unione nasce Teodoro, che nel 1305 alla morte del marchese Giovanni I diventa signore del Monferrato, dando vita alla nuova dinastia dei Paleologi. Teodoro I Paleologo, marchese di Monferrato, che è l’unico orientale, è il solo greco che sia riuscito nell’impresa di fondare una nuova dinastia in Occidente.
A queste imprese militari e a queste alleanze matrimoniali occorre aggiungere i traffici di mercanti di Alessandria, Asti e in generale del Monferrato nell’Oriente greco, da Cipro all’Armenia, ma anche a Caffa e Pera.
I Savoia parteciparono sporadicamente alle imprese in Oriente nei secoli XI-XII. Solo con Filippo di Savoia, signore di Pinerolo, si avverte un cambiamento, proprio grazie al matrimonio con Isabelle de Villhardouin. Successivamente, nel 1326, Giovanna di Savoia (poi Anna Paleologhina) sposa il basileus Andronico III; nel 1366 Amedeo VI di Savoia, il conte verde, partecipa alla difesa dell’impero bizantino combattendo nella penisola di Gallipoli, da cui gli derivano prestigio e influenza, con importanti successi diplomatici nel contesto europeo. E infine, verso la fine del secolo, si intrecciano rapporti con i Lusignano sovrani di Cipro: nel 1433 con il matrimonio tra Ludovico figlio di Amedeo VIII e Anna di Lusignano; nel 1459 con l’unione tra Ludovico di Savoia e Carlotta di Lusignano e, infine, nel 1485 il duca Carlo I riesce a ottenere dalla regina Carlotta il titolo di re di Cipro (da ereditare alla morte di lei).
In mostra, nell’allestimento progettato dall’architetto Loredana Iacopino, questa narrazione è svolta grazie all’eccezionale patrimonio numismatico del Museo Civico di Arte Antica, che possiede tutta la sequenza di monete coniate dagli imperatori d’Oriente, di cui è stata compiuta apposita scelta per andare a esporre circa 150 opere.
In chiusura, nella prospettiva di un percorso territoriale, un racconto per immagini degli oggetti d’arte bizantini attestati in Piemonte: dal cofanetto in avorio della Cattedrale di Ivrea al dittico in avorio conservato a Novara, in San Gaudenzio, riutilizzato alla fine dell’XI secolo per iscrivervi i nomi dei vescovi novaresi; dai quattro smalti con Cristo e santi inseriti nella croce di Oberto di Cocconato (XIII secolo) nel Tesoro della Cattedrale di Asti (discendente di quell’Oberto di Cocconato che seguì Bonifacio di Monferrato nella quarta Crociata, citato anche da Villehardouin) al bacile di ceramica graffita nella facciata di San Giulio d’Orta, per giungere all’ipotetica spada di Costantino Paleologo (simbolo della lotta contro i Turchi), donata dal barone Tecco a Carlo Alberto. Accanto gli fu posta proprio la spada che Carlo Alberto usò nella battaglia di Novara: Italia e Grecia accomunate dalle lotte per l’indipendenza dagli invasori.
La mostra ripercorre gli elementi fondanti o connotanti il grande Impero Romano d’Oriente e il suo sviluppo culturale e territoriale nei secoli attraverso otto sezioni tematiche: Lo scudo di Bisanzio (esercito, burocrazia, imperatore e corte), Il quotidiano (oggetti d’uso quotidiano e gioielli), Da Bisanzio a Costantinopoli (commercio, artigianato, monete e fiscalità), L’esercito di Dio (monachesimo e civiltà della scrittura), Lo spazio del sacro (arredo liturgico e iscrizioni funerarie), L’umanesimo di Bisanzio, Quei bizantini dei piemontesi, Da Palazzo Madama a Bisanzio.
Secondo la tradizione Bisanzio fu fondata dai Greci nel 667 a.C, in posizione strategica a dominare gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli. Ampliata da Costantino e scelta come luogo per la sua residenza, mutò nome in Costantinopoli e con la divisione dell’Impero romano avvenuta nel 395 d.C. divenne capitale dell’Impero romano d’Oriente.
Di questo impero, sopravvissuto quasi 1000 anni a quello occidentale crollato sotto le pressioni dei popoli ‘barbari’, la mostra racconta la lunga storia, dalle origini fino alla caduta di Costantinopoli per mano degli Ottomani nel 1453. Erede dell’antica Roma ma fondato sulla fede cristiana l’Impero bizantino, che nella sua massima estensione andava dalla Tunisia al Caucaso, viene narrato attraverso gli oggetti che testimoniano la sua organizzazione, dalla figura dell’Imperatore (il basileus) all’esercito, dalla corte al clero, e il suo funzionamento, dalla monetazione ai commerci, dalla vita quotidiana alle pratiche del culto.
L’organizzazione dell’esercito bizantino prevedeva diverse tipologie di legioni: c’erano le forze armate regionali, costituite da contadini-soldati, cui era assegnato un lotto di terra per sostenere sé stessi e la propria famiglia e che, in cambio di ciò, quando necessario, erano chiamati a difendere il territorio dell’Impero; quindi alcuni contingenti di professionisti, i tagmata, stipendiati direttamente dagli imperatori (a partire dal regno di Costantino V, 741-775) e infine, dalla fine del X secolo, i mercenari stranieri, reclutati fuori dai confini imperiali: come i “Variaghi”, di origine russo-svedese, ma anche unità scelte di Turchi e di Ungheresi.
Gli oggetti esposti, che caratterizzavano la casa e la vita privata all’interno dei territori bizantini, lungo un periodo cronologico che va dal IV al XII secolo, sono opere emerse in scavi archeologici e provenienti in massima parte dalla Grecia, ma anche da siti bizantini a Napoli, Ravenna e in Sardegna. Vi sono le stoviglie da mensa, in vetro e in ceramica, accompagnate da lucerne in bronzo: tutti pezzi ancora realizzati nel solco della tradizione romana. Assai ricco il nucleo delle arti preziose: fibule, fibbie da cintura, amuleti, anelli – spesso con iscrizioni e monogrammi - bracciali, collane, fasce per il capo, orecchini. Qui, accanto agli influssi dell’arte romana, si leggono anche apporti del mondo germanico, slavo e iranico.
Per secoli Bisanzio esportò in tutto il Mediterraneo le molte merci prodotte entro i propri confini, specialmente olio, vino, salse e unguenti, traportati all’interno di anfore, ma anche prodotti di lusso come oreficerie e tessuti. L’alta qualità dell’artigianato bizantino ereditava le competenze dell’età antica e beneficiava dei contatti che l’Impero aveva con il mondo arabo, persiano e con l’Estremo Oriente. L’uso diffuso della moneta, coniata in tre tipi di metallo (oro, argento e rame) era anch’esso in continuità con il mondo antico.
Entro i confini dell’Impero bizantino sorgevano numerosi monasteri: essi non erano solo centri di vita spirituale, ma depositari di ingenti patrimoni terrieri e quindi caratterizzati da un notevole potere economico e politico, come nel caso della comunità del Monte Athos. A livello architettonico essi comprendevano gli edifici abitati dai monaci e aperti esclusivamente alla comunità religiosa – solitamente raccolti attorno a una corte interna - e una zona esterna, dedicata alle attività produttive e all’accoglienza dei pellegrini, con una cappella per le funzioni religiose dirette a questi ultimi.
Molti monasteri erano anche importanti centri culturali, impegnati nella trascrizione, in lingua greca, dei manoscritti destinati al culto, dei principali testi della letteratura greca dell’Antichità e di trattati scientifici e filosofici.
La profonda compenetrazione della fede cristiana nella struttura dello Stato e in tutte le articolazioni della società ha fatto sì che molto di ciò che ci resta dell’eredità culturale bizantina sia rappresentato da edifici ecclesiastici e dal loro arredo. Caratteristica delle chiese bizantine è la differenza fra un esterno molto sobrio e un interno sfarzoso, grazie alle decorazioni scultoree, pittoriche, a mosaico e agli elementi di arredo. Fino al VII-VIII secolo questi manufatti sono improntati a un forte rigore geometrico e presentano decorazioni essenziali, tra cui croci e monogrammi cristologici, per poi arricchirsi successivamente, spesso con raffigurazioni di animali dal significato simbolico. All’interno di una chiesa, la luce, naturale o artificiale, era un elemento importantissimo per creare un’atmosfera di mistico raccoglimento. La luce artificiale era prodotta per mezzo di lucerne e di candelabri, alimentati in genere con olio di oliva. Tra gli oggetti liturgici principali vi erano i contenitori per le sostanze (il pane e il vino) utilizzate per la celebrazione eucaristica. Presso le chiese, infine, si trovavano le aree cimiteriali, da cui provengono le iscrizioni funerarie qui esposte, che corredavano le tombe.
I Turchi fin dall’XI secolo erano penetrati in Anatolia, mettendo sotto attacco il governo di Bisanzio in quella regione.
Nel XV secolo la pressione turca e quella mongola avevano ormai notevolmente ridimensionato il territorio dell’impero. Fu anche in funzione anti turca che nel 1438 il basileus Giovanni VIII Paleologo giunse in Italia per partecipare al Concilio voluto da papa Eugenio IV per riunire le chiese d’Oriente e d’Occidente. La sua venuta fu celebrata da letterati e artisti, da Pisanello, che gli dedicò la prima medaglia moderna, a Benozzo Gozzoli, che lo raffigurò negli affreschi della Cappella dei Magi in Palazzo Medici-Ricciardi a Firenze. Tuttavia, gli aiuti occidentali non riuscirono ad arrestare l’avanzata degli Ottomani. Nel 1453 Costantinopoli fu conquistata dall’esercito guidato da Maometto II e la sua caduta decretò la fine dell’Impero bizantino.
Come anticipato, la storia dei rapporti tra Bisanzio e il Piemonte è la storia del “sogno verso l’Oriente”, che coinvolse alcune delle più importanti famiglie della feudalità italiana, gli Aleramici e i Savoia. Questi casati individuarono nelle crociate e nelle alleanze matrimoniali con le aristocrazie greche l’opportunità per far emergere la propria famiglia dal contesto locale e per proiettarla nell’ambito politico dell’Impero d’Oriente. L’esito dei loro ambiziosi progetti fu invero modesto e incerti furono i risultati economici, ma le imprese d’Oltremare rinfocolarono gli ideali cavallereschi e procurarono i tanto desiderati titoli regi, che nella forma, se non nella sostanza, perpetuarono il ricordo delle gloriose imprese compiute in Oriente e assicurarono ai loro portatori un prestigio duraturo.
Il Museo Civico d’Arte Antica di Torino possiede una raccolta eccezionale di monete bizantine: 1290 esemplari - in oro, argento e bronzo - donati nel 1933 da Pietro Antonio Gariazzo. Un ingegnere biellese, che, dopo una lunga attività nel Congo belga impegnato nella costruzione di opere ferroviarie, rientrò in Piemonte e si dedicò allo studio e al collezionismo di monete antiche. Amico di Vittorio Viale, direttore dei Musei Civici dal 1933, dopo il trasferimento delle collezioni a Palazzo Madama lo affiancò in qualità di conservatore onorario delle raccolte numismatiche torinesi.
La selezione che si presenta in mostra comprende monete coniate nell’arco di dieci secoli, dal V al XIV secolo, che ci trasmettono le effigi dei principali imperatori di Bisanzio, talvolta delle loro spose e dei loro figli. Esse non rivestono solo un interesse iconografico, ma documentano un’importante evoluzione stilistica: le monete più antiche, emesse sotto Arcadio (395-408), risultano infatti ancora influenzate dalla monetazione classica, in cui l’imperatore appare di profilo e ritratto secondo i canoni dell’arte greca. In quelle coniate durante i regni di Eraclio e di Costante (VII secolo) è scomparso invece ogni interesse per la verosimiglianza e i ritratti degli imperatori sono caratterizzati da una forte astrazione. Infine, le monete auree e bronzee del XII-XIV secolo mostrano un ulteriore cambiamento di prospettiva: dell’imperatore non si riproduce più il ritratto, ma la figura intera, identificabile solo grazie alle insegne del potere imperiale (il labaro e il globo crucifero). Inoltre è sempre più frequente, sul rovescio delle monete, la presenza dell’immagine di Cristo, della Vergine o di particolari santi, che vanno a sostituire le Vittorie alate e le figure femminili allegoria della città di Costantinopoli, che decoravano il rovescio delle monete della tarda antichità.
Uno straordinario affresco dell’Impero “che non voleva morire”.
ORARI
Lunedì e da mercoledì a domenica: 10.00 - 18.00.
Martedì chiuso
Il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura
BIGLIETTI
Intero € 12,00
Ridotto € 10,00
Gratuito Abbonamento Musei e Torino+Piemonte card
Mostra + museo: Intero € 16 | Ridotto € 14
Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica di Torino, presenta, dal 10 maggio al 28 agosto 2023, la mostra Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario, a cura di Federico Marazzi con il contributo del MANN - Museo Archeologico Nazionale di Napoli, di Palazzo Madama e del Ministero Ellenico della Cultura e dello Sport e la collaborazione nell’organizzazione generale di Villaggio Globale International.
L’esposizione, proposta dal 21 dicembre 2022 al 10 aprile 2023 al MANN – Museo Archeologico Nazionale di Napoli, arriva a Torino, come seconda sede, per illustrare il “millennio bizantino” con il corpus espositivo principale integrato da una sezione dedicata al rapporto con l’area piemontese.
Oltre 350 opere - sculture, mosaici, affreschi, vasellami, sigilli e monete, straordinari manufatti in ceramica, smalti, oggetti d’argento, preziose gemme e oreficerie, pregevoli elementi architettonici - danno conto delle strutture, dei sistemi organizzativi, dei commerci e dei rituali di una complessa realtà politica, testimoniando nel contempo le eccellenze delle manifatture bizantine, gli incroci di cultura, gli stilemi e i simboli dell’Impero d’Oriente attraverso i secoli. È la creatività artistica del mondo antico che transita verso il Medioevo, con un linguaggio rinnovato dalla fede cristiana e con gli innesti del mondo orientale, in particolare della cultura iranica e araba.
Centinaia di prestiti provenienti da importanti musei italiani e da oltre venti musei greci giungono a Torino a narrare il millenario sforzo di un Impero teso al dialogo tra la cultura classica e quella orientale.
Per una Bisanzio, legata al territorio piemontese, che vedrà nel Principato d’Acaia, fin dalle origini proiettato verso l’Oriente greco e bizantino, l’origine della dinastia dei Savoia-Acaia – formatasi dal matrimonio nel 1301 tra Filippo di Savoia e Isabella di Villehardouin, principessa d’Acaia – ma anche una strettissima connessione con la dinastia dei Paleologi, ascesa nel 1261 con Michele Paleologo al trono imperiale, conservato sino al tramonto definitivo di Bisanzio nel 1453 tramite questo suo ramo occidentale, che si dimostra capace di ravvivare gli splendori della corte aleramica, rimanendo al potere fino all’ultimo discendente, Gian Giorgio, morto nel 1533.
E Palazzo Madama, già castello degli Acaia e dal 1934 sede delle collezioni del Museo Civico d’Arte Antica, proprio dalla cultura e influsso bizantini principia nella strutturazione delle sue raccolte di arti applicate, tra le più importanti d’Europa, comprendendo preziose oreficerie, avori, vetri dorati e dipinti, tessuti e maioliche.
D’altronde le relazioni e i contatti con Bisanzio e l’Impero furono nei secoli, per le terre piemontesi, ampi e di varia natura. I Bizantini occuparono alcune piazzeforti in Piemonte lungo il limes alpino, consci di rapporti di reciproca conoscenza iniziati tra XI e XII secolo, prima per via delle crociate, poi con le alleanze matrimoniali.
Guglielmo il Vecchio (Guglielmo V) di Monferrato partecipò alla seconda crociata e fu ospite della corte imperiale di Bisanzio; i suoi quattro figli vennero tutti coinvolti nelle vicende d’Outremer e tutti inseguirono il sogno di salire su un trono orientale. Nel 1177 Guglielmo Lungaspada sposa la sorella di Baldovino IV il Lebbroso, erede al trono di Gerusalemme; nel 1180 Ranieri di Monferrato sposa Maria, figlia dell’imperatore di Costantinopoli, il basileus Michele Comneno; nel 1190 Corrado di Monferrato giunge in Terrasanta, difende il Regno di Gerusalemme, sposa Isabella d’Angiò, figlia ed erede del re di Gerusalemme, ma muore assassinato; nel 1204 alla quarta crociata prende parte Bonifacio, il quarto figlio di Guglielmo. Riesce a ottenere il regno di Tessalonica, ma muore dopo poco in combattimento. Al di là degli esiti cruenti, l’Oriente greco è ormai stabilmente entrato nell’ambito degli interessi dei Monferrato.
Il Regno di Tessalonica, perso già nel 1224, resta formalmente ai Monferrato, che continuano a tenere il titolo di re di Tessalonica, ormai svuotato di significato. Il regno è poi dato in dote a Iolanda di Monferrato nel 1284 in occasione delle nozze con Andronico II Paleologo (che in cambio dona 6.000 lire genovesi). Da questa unione nasce Teodoro, che nel 1305 alla morte del marchese Giovanni I diventa signore del Monferrato, dando vita alla nuova dinastia dei Paleologi. Teodoro I Paleologo, marchese di Monferrato, che è l’unico orientale, è il solo greco che sia riuscito nell’impresa di fondare una nuova dinastia in Occidente.
A queste imprese militari e a queste alleanze matrimoniali occorre aggiungere i traffici di mercanti di Alessandria, Asti e in generale del Monferrato nell’Oriente greco, da Cipro all’Armenia, ma anche a Caffa e Pera.
I Savoia parteciparono sporadicamente alle imprese in Oriente nei secoli XI-XII. Solo con Filippo di Savoia, signore di Pinerolo, si avverte un cambiamento, proprio grazie al matrimonio con Isabelle de Villhardouin. Successivamente, nel 1326, Giovanna di Savoia (poi Anna Paleologhina) sposa il basileus Andronico III; nel 1366 Amedeo VI di Savoia, il conte verde, partecipa alla difesa dell’impero bizantino combattendo nella penisola di Gallipoli, da cui gli derivano prestigio e influenza, con importanti successi diplomatici nel contesto europeo. E infine, verso la fine del secolo, si intrecciano rapporti con i Lusignano sovrani di Cipro: nel 1433 con il matrimonio tra Ludovico figlio di Amedeo VIII e Anna di Lusignano; nel 1459 con l’unione tra Ludovico di Savoia e Carlotta di Lusignano e, infine, nel 1485 il duca Carlo I riesce a ottenere dalla regina Carlotta il titolo di re di Cipro (da ereditare alla morte di lei).
In mostra, nell’allestimento progettato dall’architetto Loredana Iacopino, questa narrazione è svolta grazie all’eccezionale patrimonio numismatico del Museo Civico di Arte Antica, che possiede tutta la sequenza di monete coniate dagli imperatori d’Oriente, di cui è stata compiuta apposita scelta per andare a esporre circa 150 opere.
In chiusura, nella prospettiva di un percorso territoriale, un racconto per immagini degli oggetti d’arte bizantini attestati in Piemonte: dal cofanetto in avorio della Cattedrale di Ivrea al dittico in avorio conservato a Novara, in San Gaudenzio, riutilizzato alla fine dell’XI secolo per iscrivervi i nomi dei vescovi novaresi; dai quattro smalti con Cristo e santi inseriti nella croce di Oberto di Cocconato (XIII secolo) nel Tesoro della Cattedrale di Asti (discendente di quell’Oberto di Cocconato che seguì Bonifacio di Monferrato nella quarta Crociata, citato anche da Villehardouin) al bacile di ceramica graffita nella facciata di San Giulio d’Orta, per giungere all’ipotetica spada di Costantino Paleologo (simbolo della lotta contro i Turchi), donata dal barone Tecco a Carlo Alberto. Accanto gli fu posta proprio la spada che Carlo Alberto usò nella battaglia di Novara: Italia e Grecia accomunate dalle lotte per l’indipendenza dagli invasori.
La mostra ripercorre gli elementi fondanti o connotanti il grande Impero Romano d’Oriente e il suo sviluppo culturale e territoriale nei secoli attraverso otto sezioni tematiche: Lo scudo di Bisanzio (esercito, burocrazia, imperatore e corte), Il quotidiano (oggetti d’uso quotidiano e gioielli), Da Bisanzio a Costantinopoli (commercio, artigianato, monete e fiscalità), L’esercito di Dio (monachesimo e civiltà della scrittura), Lo spazio del sacro (arredo liturgico e iscrizioni funerarie), L’umanesimo di Bisanzio, Quei bizantini dei piemontesi, Da Palazzo Madama a Bisanzio.
Secondo la tradizione Bisanzio fu fondata dai Greci nel 667 a.C, in posizione strategica a dominare gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli. Ampliata da Costantino e scelta come luogo per la sua residenza, mutò nome in Costantinopoli e con la divisione dell’Impero romano avvenuta nel 395 d.C. divenne capitale dell’Impero romano d’Oriente.
Di questo impero, sopravvissuto quasi 1000 anni a quello occidentale crollato sotto le pressioni dei popoli ‘barbari’, la mostra racconta la lunga storia, dalle origini fino alla caduta di Costantinopoli per mano degli Ottomani nel 1453. Erede dell’antica Roma ma fondato sulla fede cristiana l’Impero bizantino, che nella sua massima estensione andava dalla Tunisia al Caucaso, viene narrato attraverso gli oggetti che testimoniano la sua organizzazione, dalla figura dell’Imperatore (il basileus) all’esercito, dalla corte al clero, e il suo funzionamento, dalla monetazione ai commerci, dalla vita quotidiana alle pratiche del culto.
L’organizzazione dell’esercito bizantino prevedeva diverse tipologie di legioni: c’erano le forze armate regionali, costituite da contadini-soldati, cui era assegnato un lotto di terra per sostenere sé stessi e la propria famiglia e che, in cambio di ciò, quando necessario, erano chiamati a difendere il territorio dell’Impero; quindi alcuni contingenti di professionisti, i tagmata, stipendiati direttamente dagli imperatori (a partire dal regno di Costantino V, 741-775) e infine, dalla fine del X secolo, i mercenari stranieri, reclutati fuori dai confini imperiali: come i “Variaghi”, di origine russo-svedese, ma anche unità scelte di Turchi e di Ungheresi.
Gli oggetti esposti, che caratterizzavano la casa e la vita privata all’interno dei territori bizantini, lungo un periodo cronologico che va dal IV al XII secolo, sono opere emerse in scavi archeologici e provenienti in massima parte dalla Grecia, ma anche da siti bizantini a Napoli, Ravenna e in Sardegna. Vi sono le stoviglie da mensa, in vetro e in ceramica, accompagnate da lucerne in bronzo: tutti pezzi ancora realizzati nel solco della tradizione romana. Assai ricco il nucleo delle arti preziose: fibule, fibbie da cintura, amuleti, anelli – spesso con iscrizioni e monogrammi - bracciali, collane, fasce per il capo, orecchini. Qui, accanto agli influssi dell’arte romana, si leggono anche apporti del mondo germanico, slavo e iranico.
Per secoli Bisanzio esportò in tutto il Mediterraneo le molte merci prodotte entro i propri confini, specialmente olio, vino, salse e unguenti, traportati all’interno di anfore, ma anche prodotti di lusso come oreficerie e tessuti. L’alta qualità dell’artigianato bizantino ereditava le competenze dell’età antica e beneficiava dei contatti che l’Impero aveva con il mondo arabo, persiano e con l’Estremo Oriente. L’uso diffuso della moneta, coniata in tre tipi di metallo (oro, argento e rame) era anch’esso in continuità con il mondo antico.
Entro i confini dell’Impero bizantino sorgevano numerosi monasteri: essi non erano solo centri di vita spirituale, ma depositari di ingenti patrimoni terrieri e quindi caratterizzati da un notevole potere economico e politico, come nel caso della comunità del Monte Athos. A livello architettonico essi comprendevano gli edifici abitati dai monaci e aperti esclusivamente alla comunità religiosa – solitamente raccolti attorno a una corte interna - e una zona esterna, dedicata alle attività produttive e all’accoglienza dei pellegrini, con una cappella per le funzioni religiose dirette a questi ultimi.
Molti monasteri erano anche importanti centri culturali, impegnati nella trascrizione, in lingua greca, dei manoscritti destinati al culto, dei principali testi della letteratura greca dell’Antichità e di trattati scientifici e filosofici.
La profonda compenetrazione della fede cristiana nella struttura dello Stato e in tutte le articolazioni della società ha fatto sì che molto di ciò che ci resta dell’eredità culturale bizantina sia rappresentato da edifici ecclesiastici e dal loro arredo. Caratteristica delle chiese bizantine è la differenza fra un esterno molto sobrio e un interno sfarzoso, grazie alle decorazioni scultoree, pittoriche, a mosaico e agli elementi di arredo. Fino al VII-VIII secolo questi manufatti sono improntati a un forte rigore geometrico e presentano decorazioni essenziali, tra cui croci e monogrammi cristologici, per poi arricchirsi successivamente, spesso con raffigurazioni di animali dal significato simbolico. All’interno di una chiesa, la luce, naturale o artificiale, era un elemento importantissimo per creare un’atmosfera di mistico raccoglimento. La luce artificiale era prodotta per mezzo di lucerne e di candelabri, alimentati in genere con olio di oliva. Tra gli oggetti liturgici principali vi erano i contenitori per le sostanze (il pane e il vino) utilizzate per la celebrazione eucaristica. Presso le chiese, infine, si trovavano le aree cimiteriali, da cui provengono le iscrizioni funerarie qui esposte, che corredavano le tombe.
I Turchi fin dall’XI secolo erano penetrati in Anatolia, mettendo sotto attacco il governo di Bisanzio in quella regione.
Nel XV secolo la pressione turca e quella mongola avevano ormai notevolmente ridimensionato il territorio dell’impero. Fu anche in funzione anti turca che nel 1438 il basileus Giovanni VIII Paleologo giunse in Italia per partecipare al Concilio voluto da papa Eugenio IV per riunire le chiese d’Oriente e d’Occidente. La sua venuta fu celebrata da letterati e artisti, da Pisanello, che gli dedicò la prima medaglia moderna, a Benozzo Gozzoli, che lo raffigurò negli affreschi della Cappella dei Magi in Palazzo Medici-Ricciardi a Firenze. Tuttavia, gli aiuti occidentali non riuscirono ad arrestare l’avanzata degli Ottomani. Nel 1453 Costantinopoli fu conquistata dall’esercito guidato da Maometto II e la sua caduta decretò la fine dell’Impero bizantino.
Come anticipato, la storia dei rapporti tra Bisanzio e il Piemonte è la storia del “sogno verso l’Oriente”, che coinvolse alcune delle più importanti famiglie della feudalità italiana, gli Aleramici e i Savoia. Questi casati individuarono nelle crociate e nelle alleanze matrimoniali con le aristocrazie greche l’opportunità per far emergere la propria famiglia dal contesto locale e per proiettarla nell’ambito politico dell’Impero d’Oriente. L’esito dei loro ambiziosi progetti fu invero modesto e incerti furono i risultati economici, ma le imprese d’Oltremare rinfocolarono gli ideali cavallereschi e procurarono i tanto desiderati titoli regi, che nella forma, se non nella sostanza, perpetuarono il ricordo delle gloriose imprese compiute in Oriente e assicurarono ai loro portatori un prestigio duraturo.
Il Museo Civico d’Arte Antica di Torino possiede una raccolta eccezionale di monete bizantine: 1290 esemplari - in oro, argento e bronzo - donati nel 1933 da Pietro Antonio Gariazzo. Un ingegnere biellese, che, dopo una lunga attività nel Congo belga impegnato nella costruzione di opere ferroviarie, rientrò in Piemonte e si dedicò allo studio e al collezionismo di monete antiche. Amico di Vittorio Viale, direttore dei Musei Civici dal 1933, dopo il trasferimento delle collezioni a Palazzo Madama lo affiancò in qualità di conservatore onorario delle raccolte numismatiche torinesi.
La selezione che si presenta in mostra comprende monete coniate nell’arco di dieci secoli, dal V al XIV secolo, che ci trasmettono le effigi dei principali imperatori di Bisanzio, talvolta delle loro spose e dei loro figli. Esse non rivestono solo un interesse iconografico, ma documentano un’importante evoluzione stilistica: le monete più antiche, emesse sotto Arcadio (395-408), risultano infatti ancora influenzate dalla monetazione classica, in cui l’imperatore appare di profilo e ritratto secondo i canoni dell’arte greca. In quelle coniate durante i regni di Eraclio e di Costante (VII secolo) è scomparso invece ogni interesse per la verosimiglianza e i ritratti degli imperatori sono caratterizzati da una forte astrazione. Infine, le monete auree e bronzee del XII-XIV secolo mostrano un ulteriore cambiamento di prospettiva: dell’imperatore non si riproduce più il ritratto, ma la figura intera, identificabile solo grazie alle insegne del potere imperiale (il labaro e il globo crucifero). Inoltre è sempre più frequente, sul rovescio delle monete, la presenza dell’immagine di Cristo, della Vergine o di particolari santi, che vanno a sostituire le Vittorie alate e le figure femminili allegoria della città di Costantinopoli, che decoravano il rovescio delle monete della tarda antichità.
Uno straordinario affresco dell’Impero “che non voleva morire”.
ORARI
Lunedì e da mercoledì a domenica: 10.00 - 18.00.
Martedì chiuso
Il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura
BIGLIETTI
Intero € 12,00
Ridotto € 10,00
Gratuito Abbonamento Musei e Torino+Piemonte card
Mostra + museo: Intero € 16 | Ridotto € 14